La lingua di Epepe

Nota di Anna Maria Ercilli

In questi mesi ho letto dei libri interessanti meritevoli di commenti positivi, prendo solo questo titolo che si distanzia da tutti gli altri. Insolito, coinvolgente, ossessivo, visionario, premonitore? Lo vogliono kafkiano.
Epepe”l'unico romanzo tradotto di Ferenc Karinthy? Poche note sull'autore, ungherese, è stato campione di pallanuoto, romanziere, giornalista e traduttore di Goldoni, morto nel 1992.
Il protagonista Budai prende un volo diretto a Helsinki, è atteso al congresso di linguistica; nella confusione dell'arrivo non nota differenze, gli aeroporti si assomigliano tutti. Ancora assonnato siede sul pullman che lo porta in città, ad ogni fermata si accorge di non riconosce Helsinki, dove si trova? La gente che incontra non capisce le sue domande e lui non comprende la lingua, si ritrova nel vortice di una folla in movimento frenetico, entra nell'Hotel, trova una coda di persone davanti alla reception, ottiene la stanza 921, a manovrare l'ascensore una ragazza bionda che forse si chiama Epepe o Dede, Tete, Tjetjetje o Cece? Il protagonista non si arrende all'atmosfera cupa della città, alla gente in continuo movimento, inizia a orientarsi nelle stazioni della metro, ma inspiegabilmente viene escluso dalla sua stanza. Vaga nelle strade, dove si trova coinvolto nella rivolta, la violenza dilaga. Un ricordo della rivoluzione ungherese del '56 o un presagio del futuro? Un'intuizione lo porta verso l'uscita dall'incubo.
Ne Budai e neppure noi sapremo quale lingua e città aveva incontrato.
L'ultima parola arriva con l'ipnotico ritmo di una narrazione sostenuta dall'ossessiva ricerca di un linguaggio che rimane misterioso, la condanna all'incomprensione.

Epepe di Ferenc Karinthy, Adelphi, 2015

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